Il mondo del vino, come altri purtroppo, è ricco di lobby. Bisogna farsene una ragione, in qualche modo. Ricordo come, inizialmente, questa perdita dell’innocenza mi avvilì molto, visto che mi capitò di trovare questo sistema chiuso nelle realtà che più credevo veritiere, oggettive, al di sopra di qualsiasi attacco. Di acqua sotto i ponti ormai ne è passata e, con una certa rassegnazione, ma soprattutto con distacco da ciò che mi fu inculcato durante la mia infanzia enoica, ho imparato ad accettare come il mondo del vino non sia risparmiato da questo fenomeno e come in realtà siano presenti più club e simili di quanto possa apparire a un semplice appassionato.
La vera “caduta dell’Impero”, per me, è avvenuta non tanto quando mi resi conto delle nature esclusiviste e settarie di realtà che, in maniera vagamente ufficiale apparivano comunque come circoli chiusi ed esclusivi, ma quando questa visione del mondo del vino era messa in pratica da coloro che, in passato, si erano trovati dalla parte opposta della barricata, cioè tra i dileggiati, i reietti, la minoranza scansata e additata. Insomma l’emarginato che emargina, l’inascoltato che rifiuta il dialogo, invece che capirne il bisogno.
Questo è quanto è successo a una parte limitata, seppur rilevante, del mondo dei vini naturali. Sia ben chiaro, non mi riferisco ai produttori di vini biologici, bensì a quei produttori portati ad estreme posizione agronomiche ed enologiche in ragione del loro integralismo. I casi di questo tipo di estremismo, quasi religioso, druidico, sono in aumento. Le loro file stanno aumentando lentamente ma inesorabilmente, e questo non sarebbe un male di per sé, se molti di costoro non fossero sordi al dialogo, al confronto. Da ateo, ho onestamente paura di quest’approccio da indottrinamento religioso, quasi una radicalizzazione.
Tra le loro fila, contiamo sempre più giornalisti, veri o presunti, degustatori, blogger, sommelier, distributori. Sarebbe qualcosa di fantastico, avere solo vini meravigliosamente naturali, se non fosse che il fine ultimo, il Graal di questi personaggi, in altre parole il vino più naturale possibile, non li avesse accecati al punto tale di accettare l’inaccettabile, l’imbevibile. Non solo, da desiderare, ambire, quasi bramare l’inaccettabile purché sia, per carità, naturale.
Che cosa intendo per inaccettabile? Vini sporchi, difettati, squilibrati, fatti male insomma. Sono vini offensivi per i sensi, non solo i miei ma quelli numerosi altri, a giudicare da quanto mi è stato confessato lontano dai riflettori. Esattamente, avete letto bene. Lontano dai riflettori. Sì perché oggi se ti azzardi a dire che un vino artigianale naturale è difettato, sporco, puzza, devi essere pronto a correre veloce, molto. Nelle occasioni in cui l’ho fatto palesemente notare, sono passato per il guastafeste, l’ignorante senza né cuore né anima, che non capisce l’approccio al vino, che rompe la magia della naturalità e della vera essenza da stalla che troviamo in alcuni di questi bicchieri (sottosella, ospedale, cerotto usato, ecc.)
Questi produttori sono liberissimi di perseguire la loro jihad, ma non posso esimermi dal dire che ciò mi inquieta molto. Siamo arrivati al punto in cui sembra che non ci sia nemico peggiore della solforosa. La sostenibilità è meravigliosa, la naturalità è idilliaca, la genuinità mi manda in visibilio ma dover perseguire queste strade ad ogni costo, sacrificando il lato edonistico, organolettico, piacevole del vino, è per me una strada pericolosa da percorrere.
Perché si può affermare di un vino industriale anche solo non preciso ma semplice, che fa schifo, che è chimico, in modo quasi appagante, liberatorio, giusto, mentre il vino naturale del contadino magari difettato, brettato, ridotto e chi più ne ha più ne metta, viene elevato a icona del vino vero e del gusto che questo dovrebbe avere, salvandoci così dalle “porcherie” industriali che provengono dalle cantine che producono più di un paio di centinaia di migliaia di bottiglie e il cui produttore è meno hipster e va in giro senza barba lunga e pantaloni di velluto? Perché quest’aura d’intoccabilità, di superiorità eco chic di cui tanti produttori di vino naturale si sono auto proclamati portatori, è così forte da non poter essere messa in discussione pubblicamente davanti a audience rilevanti? Perché adesso anche questa fa parte di quelle lobby di cui parlavo all’inizio.
Nel caso io non sia stato chiaro, amo i vini naturali e, a parità di piacevolezza (al mio gusto ovviamente), ma soprattutto a parità di mancanza di manipolazione in cantina, preferisco un vino naturale, meglio se con meno solforosa e senza esoterismi, a un vino che risulti più manipolato e meno naturale. Credo, tra le altre cose, che sia normale. D’altro canto però, non arriverò mai ad autoinfliggermi la penitenza di un vino difettato, purché naturale. Devo avere rispetto di me e dei miei sensi; in fondo, mi danno tanto.
Ho conosciuto personalmente dozzine di produttori di vini biodinamici e naturali, e di molti di questi apprezzo sinceramente i vini. Alcuni di loro sono buoni amici. Sono vini che consumo regolarmente e che suggerisco ad amici, ai miei studenti e che uso per i corsi. Il punto è che non li suggerisco perché naturali o biodinamici, ma perché sono ottimi vini, bilanciati, complessi, equilibrati, lunghi, intensi e, ovviamente, puliti. E’ inutile fare nomi in questa sede ma molti possono testimoniare il mio apprezzamento a grandissimi produttori di vini naturali e biodinamici, sia in Italia sia all’estero.
Per portare ad esempio alcuni produttori che alla naturalità dei loro vini hanno applicato la ragionevolezza e il buon senso, voglio ricordare su tutti un produttore siciliano e uno di Rheinhessen. Il primo, dopo aver degustato i suoi vini a distanza di anni e avendogli fatto notare come fossero cambiati, mi ha onestamente e timidamente risposto che finalmente ora poteva permettersi una tecnologia e una pulizia in cantina che agli albori della sua attività non poteva permettersi e che spesso in passato aveva convinto se stesso ad amare i vini come gli venivano, ma che, al momento della nostra chiacchierata, era onestamente più felice e soddisfatto del risultato. Il secondo, un tedesco, pur certificando i suoi vini come biologici, ha candidamente sostenuto in realtà di praticare la biodinamica, pur non usando la certificazione di Demeter in etichetta. Il motivo è semplice e logico; in alcune rare annate si trovava costretto a eseguire più trattamenti di rame e zolfo in vigna di quanti siano concessi con la conduzione biodinamica. Semplice. Vero. Ragionevole. Naturale.
Questi per me sono produttori dotati di buon senso e ragionevolezza applicata alla naturalità di un vino. E di sincerità. Questi sono produttori di vini onesti, verso la natura e verso i clienti. Questi forse non sono i vini naturalmente estremi che alcuni integralisti vorrebbero, ma sono sicuramente onesti e piacevoli.
Per carità, solo gli stupidi non cambiano mai idea. Magari un giorno la penserò diversamente. Voglio lasciare la porta aperta (almeno io!) alla possibilità che il mio giudizio mi porti a rivedere le mie posizioni, per quanto ora ne dubiti fortemente. Tali idee sono rivedibili, al contrario di chi ha dei comandamenti da non infrangere e seguire senza farsi domande.