Anche detto:
Non esistono grandi vini, solo grandi bottiglie
I miei impegni, principalmente, e in parte la mia indolenza, hanno fatto in modo che io, anche in questo caso, posticipassi un articolo da mesi. Sempre, in ogni momento e luogo, qualche imprevisto sopraggiungeva a ritardarne la stesura. Chiedo quindi scusa a quella mezza dozzina di annoiati lettori.
L’occasione si è fortunatamente riproposta e l’argomento è diventato oltremodo scottante in seguito alla tanto agognata visita a Ravenna di un carissimo amico, un enologo marchigiano, pochi giorni fa. Il mio “amico” non è uno qualunque. Segue come consulente 31 cantine in una delle aree vitivinicole più sottostimate d’Italia e produce bianchi da uve Verdicchio che raggiungono a volte i 20 anni in forma.
Oltre a regalarmi il piacere della sua compagnia, ha pensato bene di portare anche diverse bottiglie, tra cui anche due eccellenti Verdicchio da lui prodotti, come enologo, una del 2008 e una del 1999. Entrambi Verdicchio Classico Superiore, uno Riserva.
Sì, 2008 e 1999. Ora, senza dilungarmi inutilmente sulla meravigliosa evoluzione, la zincata acidità ancora presente e la sinfonia di terziari delle due bottiglie, ho anche sottolineato all’amico marchigiano la perfetta condizione del tappo in sughero e la tenuta dello stesso.
“Hai perfettamente ragione” aggiunse lui, “ma continuo ad aprirne varie ogni mese e, ogni bottiglia, della stessa annata, stesso lotto, stesso cartone, risulta drammaticamente diversa dalle altre. Una è svanita, una è tappata, una è aceto, una è ossidata, una è perfetta, una è buona, ecc…”
So bene a cosa si riferisce il nostro marchigiano. Un problema riscontrato, negli anni, innumerevoli volte. Personalmente, mi è capitato con clienti in sala, in degustazioni commerciali, durante corsi del WSET e, ovviamente, in privato.
La storia del vino è piena di esempi di questo tipo, sono capitati a tutti e questo, quasi sempre, al netto delle condizioni di cantina o degli stress termico-fisici che il vino ha sopportato durante il viaggio per arrivare al cliente finale, visto che spesso le differenze si riscontrano negli stessi lotti, negli stessi cartoni, nelle stesse cantine.
Quest’anomalia sulla condizione delle bottiglie di vino, conosciuta in inglese come “bottle variation”, è comprovata e descritta da innumerevoli fonti. Essendo spesso, come dicevo, le bottiglie provenienti dalla stessa botte, vasca, lotto, cartone e, realizzato che non influiscono neppure le varie condizioni di stoccaggio, sorge una domanda.
Da cosa è data questa variazione?
In genere non si dovrebbe fare, ma in questo caso devo rispondere a una domanda con una domanda.
Qual è l’ultimo “gesto tecnico” che viene compiuto nella filiera produttiva di una bottiglia di vino?
La chiusura, chiaramente. Che in molti casi, quantomeno in tutti quelli sopra descritti, significa TAPPO.
TAPPO IN SUGHERO, per la precisione.
Sì. È un fatto. L’idolatrato (da molti) tappo in sughero, responsabile del giustamente condannato TCA e del relativo sentore di tappo, è anche l’involontario colpevole della variazione che intercorre tra due o più bottiglie. L’unicità del tappo stesso, la sua natura individuale e non replicabile, la sua soggettività, l’appartenenza a quel pezzo di corteccia e non ad un altro, la variazione naturale di un materiale organico, rendono, senza possibilità di errore, il tappo il solo responsabile delle variazioni tra le bottiglie.
Appurato che non ci sia il rischio dello sviluppo del TCA (sentore di tappo) con le chiusure tecniche (quantomeno non dovuto dalla chiusura), e che non ci possano essere variazioni organiche da bottiglia a bottiglia per quanto riguarda l’evoluzione, andiamo a vedere se una chiusura di questo tipo permette comunque l’ossigenazione e, nel caso, a che velocità.
Di seguito, possiamo vedere due tabelle che ci mostrano il consumo di SO2 libera, partendo da diversi livelli di riferimento, nel corso degli anni, in vini chiusi con chiusure tecniche ottenute da polimeri, come ArdeaSEAL ®. Il consumo di SO2 libera è, infatti, direttamente proporzionale alla presenza di ossigeno disciolto nel vino e di quello contenuto nello spazio di testa. Ci possiamo facilmente rendere conto della velocità di ossidazione dal ritmo del consumo di anidride solforosa, essendo questa un antiossidante, che decade combinandosi con l’ossigeno.